Paola Serio - Psicologa a Firenze

Il giorno in cui ho capito che volevo essere una psicologa è un giorno storico per Firenze.

Era il 17 Dicembre del 2010 e sulla nostra città un'improvvisa nevicata ha completamente innevato strade, autostrade, bloccato auto, treni, autobus.

Firenze si tinse di bianco con 20 centimetri di neve.
Ancora oggi, quando si parla di neve, il ricordo va subito a quel giorno.
C'era un gran caos: tutti temevano di restare bloccati e cercavano in ogni modo di tornare a casa. Anche io, come loro, stavo cercando un modo per tornare a casa dall'Hospice, dove ero volontaria per il servizio civile. Ma fui chiamata in una stanza da un'infermiera: c’era una signora stesa nel suo lettino.

Aveva paura.

Paura di morire.

Paura di morire da sola, mentre tutti scappavano verso casa.

«Ho da darle solo la mano», pensai.

Poi restai lì fino all'ultimo, alla sera.
E capii: quello che avevo dato a quella signora era una base sicura in cui stare, per sopportare l'angoscia di stare per morire.

Capii, pure, che “non c’è nulla da fare” non appartiene al lavoro di psicologo: c’è sempre qualcosa da fare, una relazione da intraprendere, uno scambio che significa una vita, persino in pochissimi minuti. Persino negli ultimi.

La donna morì e arrivarono i suoi parenti.
Io avevo finito il mio lavoro ed ero rimasta bloccata dalla neve.
Tornai a casa a piedi, un cammino lungo 10 chilometri.

Ma è come non avessi mai smesso di camminare: psiconcologia, cure palliative domiciliari, scuola di psicoterapia e… Ospedale pediatrico Mayer.

Dalla forza dei bambini ancora più forte l'idea che c'è sempre qualcosa da fare, anche quando sembra arrivato il momento in cui "non c'è nulla da fare".

Il dolore è dolore, che ci si trovi in cure palliative o in un reparto di chirurgia pediatrica o nello studio dello psicologo.

E allora ogni tanto ripenso a quel giorno, il giorno della neve, quello  in cui ho imparato a “stare”, nonostante tutto, accanto a chi ha bisogno di me. 

 

Autore
Paola Serio
Author: Paola SerioEmail: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Il giorno in cui ho capito che volevo essere una psicologa è un giorno storico per Firenze. Era il 17 Dicembre del 2010 e sulla nostra città un'improvvisa nevicata ha completamente innevato strade, autostrade, bloccato auto, treni, autobus. Firenze si tinse di bianco con 20 centimetri di neve. Ancora oggi, quando si parla di neve, il ricordo va subito a quel giorno. C'era un gran caos: tutti temevano di restare bloccati e cercavano in ogni modo di tornare a casa. Anche io, come loro, stavo cercando un modo per tornare a casa dall'Hospice, dove ero volontaria per il servizio civile. Ma fui chiamata in una stanza da un'infermiera: c’era una signora stesa nel suo lettino. Aveva paura. Paura di morire. Paura di morire da sola, mentre tutti scappavano verso casa. «Ho da darle solo la mano», pensai. Poi restai lì fino all'ultimo, alla sera. E capii: quello che avevo dato a quella signora era una base sicura in cui stare, per sopportare l'angoscia di stare per morire. Capii, pure, che “non c’è nulla da fare” non appartiene al lavoro di psicologo: c’è sempre qualcosa da fare, una relazione da intraprendere, uno scambio che significa una vita, persino in pochissimi minuti. Persino negli ultimi.


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